Siamo nel XVIII secolo: è il periodo in cui il “Giansenismo, interamente fondato sull’orgoglio dello spirito dopo essersi legato come per un patto con il filosofismo, che non vede altre cose se non la grandezza terrena, s’era messo a lottare corpo a corpo contro la società religiosa e civile […]” (1).
E’ il secolo dei lumi, della sfrenata esaltazione della ragione e della miseria morale; il secolo delle contraddizioni di ogni genere e non poche sono state le voci cristiane che hanno richiamato, attraverso esempi di povertà e di contemplazione, al bisogno di Dio, dell’assoluto.
Molti i santi pellegrini che hanno percorso anche le nostre terre, in questo secolo, lasciando profondi segni di spiritualità e di carità cristiana; fra loro risalta la figura di San Benedetto Giuseppe Labre, “il Povero delle Quaranta Ore”.
San Benedetto Giuseppe Labre nacque in Francia nel villaggio di Amettes, in Picardia, il 26 marzo 1748 da Giovanni Battista e Anna Barbara Grandsir, entrambi provenienti da famiglie oneste e di profondo senso religioso: fratello del padre era Francesco Giuseppe Labre, Parroco di Erim; fratello della madre D. Bonaventura Giuseppe Vincente, Vicario di Canteville e poi Parroco di La Pesse.
Benedetto era il primogenito dei quindici figli, che allietarono quella famiglia, senza dubbio benestante (2). A 16 anni cominciò ad avvertire più chiaramente e più profondamente l’attrazione della spiritualità, maturando nell’animo un fervore mistico: “[…] Tra i libri di spirito che egli aveva ritrovato…quello che lo incamminò…fu il Padre Giovanni Le Jeune detto il Cieco…Le prediche però che più penetrarono nel suo spirito furono quelle delle pene dell’inferno e del picciol numero di eletti…restò talmente commosso e atterrito, che venne in determinazione di fare tutto il possibile per essere nel numero degli eletti…di non sgomentarsi giammai per nessuna difficoltà da superarsi, per quanto ardua si potesse incontrare […]” (3).
Dopo alcuni anni di travagli, delusioni e difficoltà presso varie trappe, la permanenza nelle quali fu contrastata anche per la sua “salute troppo fragile, angoscia perenne, eccesso di severità” (4), l’11 novembre 1769, con il nome di fratel Urbano, fu ammesso al postulato ed entrò a far parte dei novizi nel monastero cistercense di Papt-Fons nella diocesi di Autun. Ne uscì un anno dopo “sconvolto da un complesso di colpa e di indegnità, da un bisogno continuo di umiliazione, da una serie di espiazione” (5) che gli levavano il coraggio di accostarsi all’Eucarestia: in tutto questo si scorgono l’amore e la profonda coscienza infinità di Dio che lo trattengono sulle soglie del mistero (6). E’ il 2 luglio 1770.
Iniziava così un nuovo periodo sulla Sua breve vita: austera, fervida “sempre alla ricerca di santuari mariani, sempre assetato di espiazione e di contemplazione, sempre più incurante di sé e delle sue esigenze[…]” (7): “[…] Procedeva egli sempre a piedi con abito poverissimo e cencioso, che mai variava per variar di stagione e di climi. Portava il capo scoperto perché aveva l’uso continuo della presenza di Dio. Aveva sospeso al collo una corona, e un’altra sempre in mano. Portava le braccia conserte al petto con la sinistra mano poggiata ad un Crocifisso di ottone pendente dall’altro lato del petto medesimo. Il volto rendeva l’immagine del Salvatore. Ovale alquanto di figura, coronato all’interno da capelli biondi e barba pari, di carnagione candida e rubiconda. Precingeva i lombi con ruvida corda, col cappello sospeso da un lato che sosteneva sotto l’estremità del braccio, e dall’altra pendeva una scodella di legno per prendere la minestra alle porte de’ Monisteri. Non domandava limosina ad alcuno, e nell’accettare le volontariamente offerte, non riceveva mai oltre quello che bisognava allo scarso sostentamento del giorno. Se mai veniva obbligato dava il rimanente agli altri poverelli. Suo cibo prediletto eran le cose avanzaticce e gittate fuori dalle case, bevendo sempre acqua, essendo sua massima che l’acqua bastava ad estinguere la sete…Evitava soleva le strade rege e preferiva le meno calcate…per non essere da altro distratto e per mantenere la sua unione con Dio…evitava le locande ed altri luoghi pubblici…per cui riposava la notte ove trovavasi, alla soglia e sotto i portici delle Chiese e nelle pubbliche vie avendo sempre la terra a letto e il cielo a tetto. Portava sul dorso un sacchetto con i suoi poverissimi arnesi, consistenti in alcuni libri di pietà, il Breviario…il volume della Bibbia e qualche straccio di camicia[…]” (8).
Nel suo intenso peregrinare visitò i più celebri Santuari della Spagna e della Germania. Nel settembre del 1771, lasciò Loreto per avviarsi in Puglia dove si fermò nel nostro più celebre santuario, quello di San Michele Arcangelo.
Fu poi a Barletta “ove visitò la cattedrale di Nazaret”; mentre passò circa la metà di ottobre nella città di Andria dove “il Santuario venerando di Maria SS. de’ Miracoli con la sua celebrità lo chiamava e lo riteneva per vari giorni[…]” (9).
Non mancò di visitare a Trani la tomba di S. Nicola Pellegrino, a Bisceglie quella dei Santi Martiri, a Molfetta il Santuario della Vergine dei Martiri e di S. Corrado. Arrivò a Bari per venerare S. Nicola, Vescovo di Mira e nel circondario visitò casali ed altri santuari come quello della Madonna Fonte di Pietà nella città di Conversano. A Bitetto si recò per onorare il Beato Giacomo, a Bitonto l’Immacolata (10).
Non v’era lontananza di luogo, non piogge sì dirotte, non freddo sì crudo, non caldo sì eccessivo che lo potesse trattenere, benché egli andasse mai coperto nel capo, mal vestito e mal difeso nei piedi. Passava egli intere giornate genuflesso avanti al suo altare, e dalla esterna apparenza ben si notava l’interno incendio che gli ardeva nel cuore […]” (11).
Era il gennaio del 1772 quando partì per Napoli, dove giunse il 13 febbraio “visitando i santuari che incontrava per via, di S. Sabino a Canosa, della Vergine di Ripalta di Cerignola, nonché quello dell’Incoronata e de’ Sette Veli in Foggia” (12).
Nel 1772, dunque San Benedetto Giuseppe Labre passò per CERIGNOLA lasciando un ricordo abbastanza profondo: secondo una tradizione orale Egli era solito pernottare davanti alla Chiesa del Carmine tanto che Don Paolo Campagnola (1813-1895), sacerdote cerignolano volle che fosse collocata una statua del Santo in quella Chiesa, su un altare marmoreo a Lui dedicato (13), il primo nella navata di destra (oggi dedicato a S. Giuseppe artigiano).
Intensi di pellegrinaggi spirituali furono gli anni successivi trascorsi in Italia e fuori: nel 1783 si fermò a Roma, suo punto di riferimento spirituale, e frequentò, soprattutto, le Chiese di Santa Maria dei Monti e Santa Maria Maggiore.
Gli stenti e le sofferenze avevano ormai debilitato il Suo corpo tanto che Benedetto Giuseppe “giunto ai gradini esterni del santuario (S. Maria de Monti), e sentendosi privo di ogni facoltà a progredire, vi si adagiò. Intervenne un suo amico benefattore, il macellaio Francesco Zaccarelli che dopo molte insistenze riuscì a portarlo a casa sua e non lo esaudì quando il santo chiese di essere adagiato sulla terra: i medici si adoperarono in tutti i modi ma invano; gli fu amministrata l’Estrema Unzione e la Sua morte in beatitudine avvenne la sera del mercoledì santo 16 aprile 1783 nella fresca età di 35 anni e giorni 21, vero martire di mortificazione e di carità” (14). Coronava col supremo sacrificio della vita il suo pellegrinare terreno in intima unione con Dio.
Fu tumulato nel Chiesa di Santa Maria de Monti: numerosi furono i miracoli elargiti, sia in vita sia dopo la morte, ad una folta schiera di sofferenti, che a Lui si rivolgevano fiduciosi. Il 20 maggio 1860 la Chiesa, riconoscendo gli alti meriti spirituali di Benedetto Giuseppe Labre, solennemente ne celebrava nel Vaticano la Beatificazione. L’8 dicembre 1881 venne canonizzato da Papa Leone XIII. “E’ incredibile vedere tutti i luoghi in cui Benedetto Labre ha lasciato un suo segno si scoprono all’improvviso e tutti parlano della sua presenza di umiltà, di povertà, di ricerca assoluta di Dio come sommo ed unico bene”. Ancora oggi la stanza nella quale morì, “un santuario in miniatura”, è meta di un continuo pellegrinaggio: uomini religiosi e non, di varia estrazione sociale, culturale, spinti da un “denominatore comune : la ricerca di una spiritualità in Dio, l’ansia dell’assoluto, il bisogno di ritrovare in Lui, Padre della misericordia, le radici della propria esistenza” (15).
Le Sue spoglie riposano, ancora oggi, nell’antica ed artistica Chiesa della Madonna dei Monti a Roma, si trovano, nel transetto di sinistra, l’altare dedicato al Santo, raffigurato in una grande pregevole Tela dell’Ottocento: sotto la mensa, dove riposano le spoglie, il Santo è rappresentato in una particolare scultura marmorea, opera di Achille Albacini (Roma 1841 – dopo il 1896). La Tela raffigura il SANTO circondato dai POVERI ai quali porge la scodella della minestra mentre due putti alati reggono sopra la testa una corona floreale. La Scultura lo coglie, invece, sul letto di morte scalzo e con l’umile abito da pellegrino, con un Crocifisso stretto nella mano sinistra, la corona del rosario nella destra (16).
Sulla parete di sinistra della cappella è murata la seguente epigrafe incisa su marmo grigio venato : “DEO. SACRUM / IN. HONOREM / S. BENEDICTI. IOSEPHI. LABRE / FERDINANDUS. / DE PLATNER. DYNASTA / ALTARE / DE SUO FECIT. ORNAVIT. / AN. MDCCCXCIV”.
In Via dei Serpenti 2, poco distante dalla Chiesa, si trova la casa dove morì San Benedetto Giuseppe Labre, ospite dell’amico macellaio Francesco Zaccarelli. Trasformata in Cappella è affidata oggi al Movimento Pro Sanctitate (17): una scultura marmorea raffigurante il Santo sul letto di morte contraddistingue il luogo del transito difronte un pregevole altare in legno dorato con medaglione dipinto del Santo e due armadi-teche agli angoli che custodiscono diversi oggetti ed indumenti di San Benedetto.
Bibliografia e Note
(1) – M. MAZZEI, La lunga eco dei Santi – S. Benedetto Giuseppe Labre, Ed. Pro Sanctitate, Roma, 1992, pp. 11-12.
(2) – ANTONINO MARIA DI JORIO (P.), Compendio della vita , virtù e miracoli di S. Benedetto Giuseppe Labre insigne pellegrino francese, Napoli, 1874.
(3-7) – M. MAZZEI, La lunga eco…, op. cit., p. 6; p.8-9; p. 11.
(8-9-10) – ANTONINO MARIA DI JORIO (P), Compendio…, op. cit., pp. 27-29; p. 32; pp. 34-36.
(11) – M. MAZZEI, La lunga eco…, op. cit., p. 9.
(12) – ANTONINO MARIA DI JORIO (P), Compendio…, op. cit. p. 38. Si veda MATTEO STUPPIELLO, Una Chiesa campestre il Santuario di Maria SS. di Ripalta, San Ferdinando di Puglia, 1992, p. 9, tav. XI, n. 25.
(13) – MATTEO STUPPIELLO, Grandi fedeli che sono passati per Cerignola – San Benedetto Giuseppe Labre, in “LA CICOGNA” – Quindicinale di vita cerignolana – ANNO III – N. 16 – 20 aprile 1981, p. 4. Seguendo le testimonianze orali la Statua a manichino, rivestita di abiti in stoffa, negli anni ’40 fu trasferita nel Cimitero in una delle nicchie esterne della Chiesa e successivamente distrutta.
(14) – ANTONINO MARIA DI JORIO (P.), Compendio…, op. cit., pp. 79-81.
(15) – M. MAZZEI, La lunga eco…, op. cit., p. 4.
(16) – G. ALTERIO – F. ROCCHI, La Chiesa – Madonna dei Monti a Roma, Roma, 1979, pp. 35-36.
(17) in una visita a Roma (14.10.1982) ho avuto modo di conoscere la sig.na Maria Angela Balzani del Movimento Pro Sanctitate, mia gentile e puntuale guida alla Cappella della Casa dove morì San Benedetto: alla stessa ho inviato (21.10.1982) materiale documentale sul Santo (originali, fotocopie e indicazioni bibliografiche) per arricchire l’Archivio da Lei curato.
Il testo sopra riportato è tratto da MATTEO STUPPIELLO, San Benedetto Giuseppe Labre, San Ferdinando di Puglia, 1995. E’ una Scheda stampata a tergo della LITOGRAFIA edita dal Centro Studi e Ricerche “Torre Alemanna”, dall’Archeoclub d’Italia Sede di Cerignola e dal Museo Etnografico Cerignolano (1979). Sul retto l’Immagine di San Benedetto Giuseppe Labre, rielaborata graficamente dal Prof. Salvatore Delvecchio ed acquerellata dall’Autore. Le copie prodotte sono state a tiratura limitata in N. 150. La LITOGRAFIA è stata presentata ufficialmente a S. E. Mons. Giovanni Battista Pichierri, Vescovo della Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano il 12 aprile 1995 in occasione della inaugurazione della Mostra Fotografica “LA PASSIONE NELL’ARTE” allestita in Corso Aldo Moro n. 87.
Cerignola, 13 dicembre 2016 Matteo Stuppiello
Il “santino” che riproduce San Benedetto Giuseppe Labre è appartenuto alla mia prozia Sig.na Antonia Dibisceglia (*Cerignola 18.6.1892 †Cerignola 11.4.1970).
Il volumetto pubblicato dal Maestro Agostiniano P. Antonino Di Jorio apparteneva alla mia prozia Sig.na Antonia Dibisceglia (*Cerignola 18.6.1892 †Cerignola 11.4.1970).
LITOGRAFIA edita dal Centro Studi e Ricerche “Torre Alemanna”, dall’Archeoclub d’Italia Sede di Cerignola e dal Museo Etnografico Cerignolano (1979). Sul retto l’Immagine di San Benedetto Giuseppe Labre, rielaborata graficamente dal Prof. Salvatore Delvecchio ed acquerellata dall’Autore. Le copie prodotte sono state a tiratura limitata in N. 150.