Un intenso raggio di luce culturale riverbera nella Terravecchia, Borgo Medioevale, la ultramillenaria “Cydiniola”. Il riferimento cade a proposito su di un Giovane cultore del “bello”, dell’antico, dell’arte e, quindi, del suo cospicuo recupero effettuato in ordine di tempo.
Stiamo parlando di Valerio Calvio, neo diplomato nell’Istituto Statale d’Arte “Sacro Cuore”, oggi Liceo Artistico, di Cerignola, nell’anno scolastico 2013-2014, Classe V, Sezione A-B, indirizzo Decorazione Pittorica.
Valerio ha saputo ben mettere a frutto la sua esperienza scolastica artistica, la conoscenza dei luoghi, il profondo interesse e l’amore per l’arte, nonché la ricerca, la difesa e la valorizzazione delle Testimonianze emergenti e quelle che, emerse e recuperate, lo hanno portato ad effettuare una donazione , in data 30 aprile 2015, al Museo Etnografico Cerignolano (1979). Si tratta di un “corpus” di manufatti che hanno valenza documentale-testimoniativa. E’ un giovane attivo e, orgogliosamente, si compiace di essere, sin dalla nascita, abitante del nostro Centro Storico.
I manufatti in parola provengono dalla ristrutturazione di un seminterrato (juso) ubicato in Via Santa Sofia al civico 6. Il giovane socio collaboratore, socio delle nostre Istituzioni Culturali, profondo senso di responsabilità, le ha recuperate con amore, sottraendole alla dispersione.
Ma veniamo all’analisi dei Luoghi e dei Materiali.
Via Santa Sofia è stata nel lontano passato una delle arterie della Terra Vecchia più menzionata sui numerosi documenti storici tra i quali atti notarili, apprezzi, Catasto Onciario. Citata già dal XVI secolo per l’esistenza dell’antico Ospedale Civile, voluto da un grande uomo di Chiesa e di Cultura, l’Arciprete Nullius, D. Leonardo De Leo, istituito nel 1578, con l’annesso Monte di Pietà e posto sotto il titolo della Pietà. Tale istituzione era stata voluta per il sollievo degli ammalati e dei diseredati. Dallo stesso De Leo fu elargita una dotazione di 3000 ducati. Nel 1583, il 7 gennaio, muore il feudatario di Cerignola Carlo Caracciolo, marito di Anna de Mendoza, lascia, tra l’altro, una somma di ducati 200 come legato all’Ospedale di Cerignola, d. Leonardo de Fusco Procuratore della medesima Istituzione, mentre Procuratore di Donna Anna de Mendoza è il P. Geronimo Suriano, gesuita presente a Cerignola e chiamato dalla stessa a fondare un Convento sin dal 1578. La Contessa di Sant’Angelo dei Lombardi e Cerignola viene, poi, nominata nel documento come Balia e Tutrice della figlia Donna Caterina Caracciolo. Nel 1591 quel legato viene quietato dai Governatori dell’Ospedale, che era chiamato della Santissima Annunciazione. Presenti all’atto i seguenti testimoni: il Magnifico Tristano Caracciolo tutti di Cerignola e il magnifico Giovanni Mauro Quattrocchi di Serino abitante a Cerignola. Presenzia il Giudice Regio Ettore Caracciolo “de Lacirig(n)ola”. Ancora furono presenti durante la stesura dell’Atto d. Leonardo de Leo, Arciprete Nullius , il Magnifico Camillo Cicella, gli Economi e Protettori dell’Ospedale tutti di Cerignola. Nel 1645 furono chiamati a dirigere l’Ospedale i Padri di S. Giovanni di Dio. Siamo convinti che la Chiesa di Santa Sofia sia molto più antica del ‘500: la struttura architettonica ci rimanda al ‘300. L’Ospedale era una Istituzione sociale solida economicamente ed efficiente in un piccolo insediamento urbano di circa 1600 abitanti.
I numerosi i materiali.
L’immobile, in origine, probabilmente di proprietà del citato Ospedale, dopo vari passaggi, era divenuto di proprietà della Famiglia Pignatelli, feudatari di Cerignola a partire dal 1633. Diciamo questo perché Valerio ha recuperato quello che era rimasto della Mattonella maiolicata del ‘700 (tre grossi frammenti, privi del quarto). La Mattonella risultava murata sul prospetto principale con l’effigie delle TRE PIGNATTE, poste a triangolo e in basso, nella zona mediana, il numero civico. Purtroppo sia lo stemma che il numero civico risultano graffiati. I dati li abbiamo potuti comparare con altre Mattonelle integre. Non sappiamo quando sia avvenuta la rottura della Mattonella. E’ certo comunque che la punta metallica di un attrezzo ha perforato il centro per passarvi il filo elettrico.
Alla Mattonella vanno aggiunti ben otto mattoni (cm. 20×20) in MAIOLICA di cui sei integri e due solo grossi frammenti. Ogni singola riggiola risulta formata da quattro Moduli disposti in senso orario. Il modulo è costituito da quattro triangoli rettangoli di cui due bianchi e due marrone bruciato. I mattoni recano il Logo impresso nell’argilla a tergo così descritto: una ampia fascia circolate reca la scritta ”FABBRICA PIASTRELLE SPECIALI”, le tre parole inframmezzate dallo stemma della Famiglia MOSCA, infatti in tre tondi risulta impressa una MOSCA e sono poste a costituire il triangolo; al centro è inciso L. MOSCA \ NAPOLI”. La Famiglia MOSCA era una famiglia di riggiolari. Il capostipite è Raffaele. Il figlio Luigi è specializzato nella fabbricazione degli smalti su oro e inventore dello smalto turchino. Nel 1865 fondarono una prima società “RAFFAELE MOSCA E C”. Ebbero successo nella produzione di RIGGIOLE NAPOLETANE. I due fratelli Giuseppe e Luigi, quest’ultimo muore nel 1893. La fabbrica continuò fino al 1915 anno della chiusura. La presenza delle TRE MOSCHE pensiamo di spiegarlo con le tre generazioni succedutesi. Aggiungiamo che queste riggiole facevano parte delle così dette “CUCINE A VAPORE” delle quali le nostre case sia al piano terra che sui palazzi signorili erano dotate. La struttura della cucina a vapore era molto complessa ed articolata e le riggiole di provenienza napoletana erano mattoni refrattari con decorazioni molto sobrie, delicate a colori vari: il turchino, il nero, il crema, pastello… Non so se in Cerignola ce ne sono ancora superstiti. Ma la cosa che ci incuriosisce è la presenza di questa struttura in un seminterrato (Juso). Durante la ristrutturazione sono venuti fuori, nella parete che ospitava la cucina a vapore, l’incavo, il condotto della canna fumaria e materiali di ferro quali componenti della suddetta struttura che descriveremo successivamente. Le riggiole sopra descritte sono state nel passato riutilizzate come davanzale interno della unica finestra e risultavano mascherate da parecchi strati di dipintura.
Ancora altri MATTONI (cm. 20×20), recuperati ai lati estremi dei precedenti descritti. Un modulo realizzato con quattro mattoni di cui uno integro, gli altri in grossi frammenti. I mattoni in argilla con sovrastante “EFFETTO MOSAICO” maiolicato con scaglie invetriate color nero e color crema. Il disegno raffigura quattro ancore (scaglie nere) che convergono verso il centro con la punta e nel contempo inscritta in un ampio cerchio a fascia larga di color crema. Il Mattone integro reca a tergo un marchio molto consumato a forma rettangolare decrittato da Valerio con l’ausilio di un calco in argilla: venivano fuori i segni della Famiglia dei riggiolari, ancora i “MOSCA”. Ancora questi mattoni con tale iconografia ed altre venivano utilizzati per pavimentare i Saloni, gli ingressi, le Chiese. Siamo nell’Ottocento. La provenienza ci lascia dubbiosi, forse potevano provenire da qualche Palazzo della Terra Vecchia ?
Sei frammenti di ceramica da fuoco appartenuti allo stesso manufatto. Stessa qualità dell’argilla, medesimo lo spessore e soprattutto la dipintura marrone chiara non invetriata.
Quattro frammenti ceramici di cui uno acromo con bordo modanato probabilmente appartenente ad una piccola scodella; gli altri tre appartenenti allo stesso originario manufatto, con spessore molto sottile e invetriatura chiara non coprente in tutte le parti: In particolare uno dei tre, quello più cospicuo, reca gran parte della base piatta e dell’alzata.
Due grossi elementi in argilla acroma: il più grade (cm. 30) rotto in due parti è stato incollato, privo della parte retrostante. L’altro elemento a forma cilindrica con diametro cm. 24,50 reca la parte superiore modanata in modo tale da ospitare l’altro elemento che si inseriva nel precedente. In definitiva la parte superiore risultava essere svasata a partire dalla base allargandosi gradatamente. Questi manufatti costituivano insieme ad altri elementi cilindrici, che si innestavano l’un l’altro, una condotta interna ad una parete e terminava nel sottostante pozzonero di raccolta. Questi elementi in cotto venivano prodotti nelle nostre FORNACI presenti sin dal Settecento.
Ancora recuperati vari frammenti di porcellana bianca, tra i quali due distanziatori cilindrici modanati con chiodo centrale utilizzati per il passaggio dei due antichi fili elettrici a vista per l’interno della casa; inoltre sempre in porcellana bianca l’elemento che è stato la causa della rottura della mattonella PIGNATELLI perché inserito al centro di questa per il passaggio attraverso l’apposito canale porcellanato del filo elettrico dall’esterno all’interno dell’ambiente.
Undici CHIODI di ferro molto ossidati avente una particolarità, mai riscontrati prima, e cioè la testa avente forma di martello e c’è una spiegazione. La volta del seminterrato è in tufi e tra un tufo e l’atro erano infissi questi chiodi ed altri 15 a testa tonda. Il motivo era creare contrasto e quindi saldatura. Questi chiodi lasciano capire dalla loro manifattura essere stati frutto di lavoro artigianale di nostri bravi fabbroferrai.
Ancora altri manufatti in ferro: alcuni frammenti facenti parte della cucina a vapore sopra citata. Il cerchio non completo che cingeva la muratura del piano cottura, una volta tutto rivestito dalle riggiole refrattarie già descritte, dove veniva inserita la grossa pentola; tre frammenti appartenenti uno probabilmente a questo cerchio, gli altri due ai cerchi più piccoli aventi la stessa funzione per ospitare pentole molto più piccole. Ancora due ferri tutti e due sempre facenti parte integrante del piano cottura, quello più grande di m. 1,30 avente forma a T costituiva il bordo del piano cottura, l’atro anch’esso semplice e piatto faceva parte della cucina.
Altri due ferri lavorati artigianalmente: uno avente grosso spessore ad una estremità ripiegato, all’altra estremità inserito in un anello con punta acuminata. Veniva utilizzato come ferro di sicurezza creando un contrasto nell’interno della porta d’ingresso conficcando la punta dell’anello nella muratura ed esattamente nella zona della luce della porta e dietro una anta, generalmente quella di sinistra che restava quasi sempre chiusa. L’altro ferro è quello che resta di uno dei tre piedi, alti e sottili che reggevano la così detta “ FORNACELLA”.
Passiamo all’analisi di alcuni pezzi di marmo. Un solo pezzo di marmo color nero-vinaccia con relative sfumature e venature chiare e rossastre presenta una particolarità e cioè il “frammento” è chiaramente interpretabile come utilizzazione; si presenta arrotondato ampiamente e si notano le due parti a filo purtroppo interrotte. Era in origine un pregiatissimo marmo usato nell’Ottocento posto a coprire la parte superiore di uno dei due comò di una stanza da letto. Inoltre il frammento in esame corrisponde alla parte anteriore di sinistra angolare poggiante sulla colonna di legno del mobile stesso, questi corrispondenti ai comò a quattro tiretti ampi e profondi. Altri quattro frammenti di marmo color grigio venati anche loro una volta a coprire un comò alto a sette tiretti; uno di questi frammenti, quello più notevole, reca il bordo arrotondato e quindi corrispondeva alla porzione anteriore.
Una finestra completa di telaio e retrostante porta lignea con piccolo chiavistello, sempre di legno chiamato in dialetto “la tarèngul(e)”: la grata di ferro è costituita da 4 barre in verticale e 3 in orizzontale inserite l’una nell’altra. Anche questo reperto va a costituire un manufatto artigianale che si è conservato integro in tutte le sue parti, anche quelle in legno, nonostante il tempo riuscendo a sopravvivere indenne alla sfida dei secoli.
Completata l’analisi dei materiali in parola, recuperati nel Centro Storico dal giovane Valerio Calvio gli esprimo un doveroso ringraziamento augurandogli che tanto sia l’avvio di un ininterrotto lavoro di ricerca storica e documentale.
Cerignola, 26 maggio 2015 Matteo Stuppiello